Flora
Vivara serba tuttora, malgrado l’azione antropica subita nel corso dei secoli, alcune tracce dell’originario paesaggio botanico.
Il visitatore che accede oggi sull’isolotto vedrà, dal ponte che ve lo conduce da Procida, tutta la verdeggiante parete orientale di Vivara allo stato di quasi vergine e intatta macchia mediterranea, in una fantasmagorica variazione delle tonalità del verde: da quello pallido e grigiastro delle euforbie (Euphòrbia dendròides), a quello più cupo dei pochi lecci (Quercus ilex), e a quello vivissimo e denso dei corbezzoli (Àrbutus ùnedo) frammisti ai caprifogli (Lonìcera impléxa); misto in primavera, al ravvivante giallo delle ginestre (Spàrtium jùnceum) in fiore e al bianco-roseo della fioritura dei cisti (Cistus Monspeliènsis, Cistus salvifòlius, Cistus incànus).
La macchia è un complesso di boscaglie litoranee sempreverdi proprie di tutta la regione mediterranea, in particolare delle coste e delle isole, caratterizzate da una fisionomia molto uniforme e in gran parte costituite appunto da leccio, mirto (Myrtus commùnis), lentisco (Pistàcia lentìscus), corbezzolo, per citarne alcuni.
La maggior parte di queste formazioni arbustive non è originaria, ma è nata dalla trasformazione dei boschi di leccio in vari tipi di macchia mediterranea, in seguito al taglio, agli incendi e al pascolo.
A Vivara è stato effettuato, intorno al 1830, un taglio quasi radicale della foresta di querce, sterminando gran parte della flora spontanea per realizzare terrazzamenti e canalizzazioni, e piantarvi colture erbacee annuali e arboree come vite e olivo (circa tremila olivi). In seguito a questo taglio s’è avuta quindi una degradazione progressiva della vegetazione e del suolo che spesso è giunta fino all’affioramento della roccia.
Abbandonate le coltivazioni, durante la metà degli anni ’60, si è ricostituita in più zone la vegetazione scomparsa in forma di arbusteti sempreverdi che, grazie alla loro elevata capacità di diffusione su suolo degradato, hanno ben presto preso a Vivara il sopravvento sul leccio, per il quale è difficile, se non impossibile, ricostruire foreste dopo l’intervento umano. Oggi a oltre centosettanta anni di distanza, il leccio, pianta certamente indigena dell’isola, è presente in pochi esemplari e in compatti cespugli, e nell’unico residuo di foresta, quello che ricopre l’ultimo lembo del versante orientale dell’isola, prevale nello strato arboreo superiore la roverella, più rustica e meno esigente del leccio, (alcuni individui superano i dieci metri) detta botanicamente Quercus pubèscens per la morbida pelosità delle sue foglie. Le roverelle, inoltre, sono state in parte risparmiate per la modesta funzione di barriera frangivento svolta nei confronti delle basse colture impiantate un tempo sul pianoro. La presenza delle roverelle, e di alcune specie non legate al clima strettamente litoraneo è un aspetto vegetazionale non noto per altri ambienti microinsulari e risale probabilmente ad un’epoca caratterizzata da clima meno arido di quello attuale. Condizioni microclimatiche favorevoli poi, hanno costituito il mantenimento di questi frammenti di querceto oggi dominati dalla roverella.
Si può distinguere una macchia alta o macchia foresta, rappresentata da complessi alti anche quattro o cinque metri dominati dal leccio e a cui si mescolano il corbezzolo, la roverella, l’erica, e una macchia bassa il cui sviluppo in altezza non supera i due metri, costituita da fillirea, cisto, mirto, con assenza di piante arboree propriamente dette. Il corbezzolo è un arbusto sempreverde diffuso in abbondanza nei paesi mediterranei e a Vivara raggiunge dimensioni spesso eccezionali (fino a sei metri). Questa pianta dalle foglie lucide e di un colore verde intensissimo e vivissimo, in ottobre e novembre offre lo strano fenomeno di presentarsi carico contemporaneamente dei suoi tipici frutti dell'annata di un bel colore rosso carminio, e dei fiori campanulati bianco-rosei che daranno il frutto dell'anno successivo; fu per questo assunto, in epoca risorgimentale, a simbolo dell’Italia coi suoi rami bianchi, rossi e verdi. Anche l’erica, considerata in generale poco più che un'“erbaccia”, prospera nei terreni poveri di humus ; a Vivara supera anche i quattro metri di altezza e assume uno sviluppo straordinariamente fitto, formando dei veri e propri boschetti molto compatti; in febbraio la loro fioritura erompe in una così spumeggiante festa di fiorellini bianchi, da far apparire l'isola intera come cosparsa da una leggera nevicata non decidua ai primi raggi del Sole che ritorna.
Ai limiti degli arbusteti e nel grosso del vecchio oliveto sud-occidentale, compaiono con maggior frequenza i cisti, anch’essi indici di degradazione della macchia. Le corolle bianche del cisto femmina, Cistus salvifòlius e del Cistus Monspeliénsis e i grandi fiori rosa del più raro Cistus incànus, conferiscono a primavera uno degli aspetti vegetativi più belli di Vivara.
Nella parte più bassa, invece, sulle pendici acclivi ed assolate di punta Mezzogiorno, la macchia originaria si presenta più o meno degradata assumendo su vari tratti l’aspetto di “gariga”, di cui fanno parte popolamenti di lentisco, tra le piante più resistenti della flora mediterranea, di mirto e di euforbia, dalla chioma tondeggiante; coperta di piccole infiorescenze color giallo, questa pianta impronta vistosamente il paesaggio delle pendici rupestri. L’olivo selvatico (Olea Europaéa var. oleàster), costituisce a Vivara basse e impenetrabili macchie che regolarmente si arricchiscono, nei diversi settori dell’isola, di altre entità proprie dell’orizzonte più tipicamente mediterraneo. I popolamenti di mirto, lentisco e olivo selvatico rientrano insieme al carrubo (Ceratònia sìliqua), coi suoi tronchi nodosi e contorti e le foglie di lucido verde, capace di adattarsi al clima e al suolo nelle condizioni estreme di caldo arido, nell’alleanza cosiddetta dell’Oleo-Ceratonion, complesso di associazioni vegetali sotto forma di boscaglia o di macchia presenti sulla parte più alta dell’isolotto.
Le radure della macchia di Vivara, ultimo termine di degradazione della vegetazione arborescente e arbustiva, si popolano a primavera di una vegetazione erbacea e da fiore, ricca di specie ma di brevissima durata e di piccole dimensioni, tra cui anche alcune orchidee. Si tratta del narciso (Narcìssus tazètta), della ferula (Fèrula commùnis), dell’inula viscosa (Ìnula viscòsa), del trifoglio bituminoso (Psoràlea bituminòsa). Il narciso, detto dai procidani «candelora», la cui fioritura ammanta Vivara prima ancora che altrove sia primavera, spunta dovunque con abbondanza. La ferula che potrebbe dirsi infestante nelle zone alte dell'isola, è confusa spesso col finocchio selvatico; tipica di quei terreni coltivati e poi abbandonati da qualche decennio, d'estate, coi suoi altissimi fiori secchi, contribuisce non poco a dare alla nostra isoletta un aspetto di abbandono, ma con le prime piogge autunnali rigermoglia dal suolo in ammassi soffici e ondeggianti. Il vero finocchio selvatico (Foenìculum vulgàre) invece, spunta raro tra i ruderi dei vecchi edifici agricoli di Vivara, e con lui nasce negli stessi posti il cappero (Càpparis spinòsa) e, con analoghi gusti aromatici, il rosmarino (Rosmarìnus officinàlis).
Particolarità di Vivara è la quasi assenza dell’edera (Hèdera helix); essa generalmente comunissima in altre località mediterranee, è una rarità sull’isola; similmente è rarissimo il lauro (Làurus nòbilis), che pure presso alcuni autori dà addirittura il nome alla macchia mediterranea detta appunto anche “macchia del lauro”. Il rovo (Rosa sempervirens) è considerato pianta infestante e caratteristica dei terreni in degradazione; ridotta a proporzioni più contenute anche la siepe di rovo non manca però di bellezza, e le sue roselline primaverili si armonizzano con le rimanenti fioriture.
A Vivara, insomma, è una fioritura continua per gran parte dell’anno: in febbraio, fioriscono l’erica e il narciso; a questi ultimi si avvicenda, con pochi giorni di ritardo e meno abbondante, il fiorire della borragine (Borràgo officinàlis), con i suoi splendidi fiori crociati di intensissimo azzurro. In maggio i cisti, a cui fanno sèguito i fiori del mirto in giugno e quando in luglio cadono questi, avviticchiato a molti cespugli e a molti carrubi fiorisce un po’ dappertutto il cosiddetto gelsomino selvatico (Jasmìnum officinàlis) con bianchissime stelline odorose. A fine estate appaiono i fiori gialli dell’inula e, in novembre, col colorirsi ovunque di bianco e di rosso, il verdissimo corbezzolo.
In settembre-ottobre, dopo le piogge di fine agosto è il periodo massimo dei funghi: ne spuntano dappertutto e di specie svariatissime: prataioli (Psalliòta campèstris), famigliole (Pholiòta mutàbilis), chiodini (Armillarièlla mèllea), porcini (Bolètus edùlis), mazze di tamburo (Lepiòta procèra), vesce (Bovìsta plùmbea) e molti altri da guardarsi con prudenza.